Nessun ricco rinuncerà al suo posto in prima classe. Perché dovrebbe farlo?
Per chi?
Salvo dire che, parlando di questo solo pianeta, non si ricavi un campione rappresentativo, dato che l’universo è grande, bisognerebbe proprio convenire sul fatto che scarseggiano gli esempi noti di re o classi dominanti, prese in blocco, che rinunciarono volontariamente, a ragion veduta, al beneficio dell’esercizio del proprio potere, a vantaggio di altri.
Al contrario, sono arcinoti gli esempi di ricchi che, ancorché dotati di sensibilità e intelletto, di fronte alle pretese, a volte tutt’altro che irragionevoli, di popoli sfruttati o affamati, anche sapendo che essi aspiravano, tutt’al più, alla possibilità di sopravvivere, pur di conservare lo status quo, opposero strenue resistenze.
Si opposero gli imperialisti inglesi all’India di Gandhi, i monarchi francesi a Robespierre, i grandi proprietari terrieri sudisti a Lincoln, gli oligarchi cinesi ai giovani di piazza Tienanmen.
Anche nei casi di più lampante ingiustizia, quand’era molto evidente che si stavano depauperando risorse tutt’altro che infinite nell’interesse esclusivo di pochi, quei pochi approfittarono della favorevole congiuntura -forse incoraggiati dal fatto che, quelle risorse, non sarebbero mai bastate per tutti e che la maggioranza, evidentemente, era destinata a soccombere comunque- e scelsero di salvaguardare la minoranza.
Salvaguardare le minoranze è ancora oggi una scelta ragionevole. Lo fu sempre, a maggior ragione, dal momento che, quella minoranza era, in tutto o in parte, costituita da loro stessi.
I ricchi furono risoluti nel non concedere quasi nulla ai poveri, trincerati dietro l’argomento, buono sia per i propri scrupoli che per quelli altrui, che il privilegio che esercitavano era, in fondo, fisiologico e irrinunciabile.
Ai ricchi, infatti, non dovette sembrare grave il fatto di essere aguzzini da molte generazioni, in paragone a divenirlo improvvisamente, come furono apertamente disprezzati i parvenues, come non sentono rimorso, un lupo o uno scorpione, per il fatto di essere nati lupo e scorpione.
Non importa se il lupo non sceglie di essere lupo, mentre un ricco, pur nato aguzzino, può scegliere di non essere né ricco né aguzzino.
Era davvero possibile scegliere? Tanto più marcato fu il divario tra minoranza e maggioranza, tanto più inaccettabile dovette sembrare il sacrificio del privilegio all’ordine di idee, concreto e tangibile, ma pur sempre temporaneo e mai condivisibile fino in fondo, che un tozzo di pane per la vita di tutti sarebbe preferibile al dominio di pochi, quando, di un domino, celebriamo eternamente i fasti, mentre ci scordiamo totalmente dei morsi della fame, non foss’altro perché, per coltivare la bellezza dell’arte, della cultura e della scienza, un salotto buono sembrò spesso terreno più propizio di mille tuguri.
Siamo concepiti per superare le avversità e tendere al benessere. Superato il dolore, sarebbe del tutto innaturale cercare di ricrearlo.
Con buona pace di De André, che riteneva che dai diamanti non nascesse niente, mentre dal letame nascerebbero i fior, nessun artista in cerca di protezione, alla corte del principe che affamava il contado per erigere lussureggianti palazzi, preferì mai il secondo ai primi e il principale strumento per elevare gli uomini di genio evidente fu, fin dall’antichità, il sacrificio di altri uomini, forse più meritevoli ma, alla fine, meno notevoli.
Qualità e benessere di alcuni, mentre altri soccombevano, garantirono il progresso che stiamo vivendo, come il debole soccombe col forte, che in questo caso non è forte, ma ricco.
I ricchi lottarono, certo. Talvolta, con superbia, non credendosi in pericolo, quando la fitta rete di tutele allestita o le mura erette sembravano loro sufficientemente sicure, talvolta, consapevoli di rischiare la testa, poiché i precedenti non mancarono mai, dopo rivolte e rivoluzioni, colpi di mano e di stato, ma convinti, probabilmente con buone ragioni, che valesse sempre la pena elevarsi al rango di paladini dell’ordine costituito, affrontando anche l’eventualità di dover morire, ma solo per una vita degna di essere vissuta, piuttosto di cambiarla con una meno meritevole, come doveva apparirgli quella dei barbari ignoranti che minacciavano, senza comprenderne il valore, il loro primato.
Alle orde barbariche, doveva sembrare loro superfluo pretendere d’insegnare il superiore prestigio della civiltà che, fino a quel momento, aveva dominato, quand’era forse già sufficientemente chiaro che non dominava più.
I ricchi lotteranno ancora: è naturale.
Lottiamo tutti noi, quotidianamente, per questioni di anche minor conto.
Di fronte all’eventualità di cedere il nostro posto, in coda al supermercato, a chi non sappia neppure che c’è, una coda, e provi a passare davanti, ritenendo, la questione del rispetto della precedenza, non meriti discussione oppure, all’altro estremo, che la vita di un’altro individuo non valga il vantaggio di arrivare per primo in cassa, potremmo trovarci a difendere disperatamente il nostro superiore modello di civiltà sociale, il nostro diritto garantito, anche quando non ci sia nessuno, a parte noi, che se la sentirebbe più, di garantirlo, persuasi che i tradizionali cardini dell’educazione civica, quali il diritto di precedenza, l’iscrizione all’albo professionale, la raccolta differenziata o la priorità d’imbarco, non siano l’espressione codificata della tutela dello status quo, ma qualifichino invece la civiltà stessa e la distinguano dal caos, giustificando liti e rappresaglie per la loro difesa, anche a costo della vita.
Le persone sicure che i propri diritti derivino da qualcosa di giusto e sacro, fosse anche il semplice fatto di averli comprati, magari, a caro prezzo, oppure, per averli ricevuti in dono dagli avi, dal proprio re o dal proprio dio, non potranno accettare di esserne privati e sfrutteranno il loro vantaggio, come al gioco, ogni volta che i poveri riconosceranno di non poter coprire la puntata.
I ricchi, tuttavia, non vinceranno sempre: prevarranno finché i poveri riterranno realistico avvicendarsi a loro, disposti ad accettare privilegi idealmente ingiusti, in cambio di migliori posizionamenti in società, oppure, una volta al potere, a opporre, come legittime, le stesse regole inique che una volta subivano, ai danni dei nuovi esclusi, piuttosto di auspicare l’ennesima rivoluzione sbagliata, fatta per ottime ragioni, abbandonandosi a un definitivo, fino alla rivoluzione successiva, deliberato atto di pirateria, senza più pensare al fatto che in Cina si sentì il bisogno di innalzare la Grande Muraglia, mentre a Long Island nessuno crede serva recintare la propria casa.
Ogni modello di civiltà del passato visse il culmine del suo splendore e l’abisso del suo declino, spesso, senza riconoscere nessuno dei due momenti, salvo avvertire, come in effetti fu, che non sarebbero durati in eterno.
Per noi, anche se veniamo dopo e realizziamo, disillusi, che si può sopravvivere agli asteroidi, alle bombe atomiche, fino anche al Medioevo, non sarà diverso.
Potremmo provare a sostenere che stiamo migliorando e che l’evoluzione ci porterà a sistemi più equi, che nessuna rappresaglia sarebbe necessaria, che non esistano conflitti idealmente giusti, neppure quando rovesciano poteri ingiusti.
Potremmo auspicare un maggiore equilibrio e che non si ecceda mai in crudeltà gratuite, dando per scontato che, crudeltà, ce ne sarebbero.
Tuttavia, la fame e la povertà hanno fretta. Il conflitto è dietro l’angolo, mentre la giustizia è lontana. Chi potrebbe aspettarsi che i poveri preferiscano, ancora, la seconda?
Nel caso, quando le teste ricominceranno a cadere, sarebbe oltremodo insensato auspicare che la crudeltà, il cinismo, la speculazione e la sostanziale indifferenza dei ghigliottinati conteranno qualcosa, perché, si dovessero mai misurare, le indubbie qualità dei ricchi, e convincersi che esse, in qualche modo, compensino la fame dei popoli oppressi, i dolori dei bambini indifesi, dei malati, dei perseguitati e dei fuggitivi, per quanti sono, è difficile credere che ci sarebbe davvero qualcosa da conservare… Giusto i palazzi, forse.
I ricchi soccomberanno ancora, un giorno, ma, per allora, serviranno ghigliottine affilate e forche nuove.
Serviranno, soprattutto, uomini e donne senza scrupoli, senza morale, senza memoria… Io, un po’, già ne conosco.
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Guillotine