• Gli arroganti siamo noi

    Se c’è una cosa che ho imparato, di recente, è che in molti non amano la parola ‘umiltà’.

    Apprezzano le persone umili, è vero, quelle che non si vantano, ma sono brave, che potrebbero demolire, ma costruiscono, che non chiedono niente, ma concedono assai, eppure non amano il suono della parola e che qualcuno li consideri umili. Li mette a disagio, come se li si notasse per qualità diverse da quelle che vorrebbero in evidenza, anche se si dicesse che sono di gran classe.

    È strano: secondo due fonti autorevoli come la Treccani e l’Accademia della Crusca, umiltà non è che il contrario di superbia.

    Dato che la superbia è un peccato capitale e i superbi vanno all’inferno, l’umiltà dovrebbe essere intesa comunemente come una cosa bella. Ai cristiani, perlomeno, essere umili, dovrebbe convenire.

    Invece, i più si vergognano di essere umili e, come piccoli Scarface, nella versione di Al Pacino o come l’Achille di Brad Pitt, si pavoneggiano anche se, piume, non ne hanno.

    Perché?

    In molti, forse, assimilano l’essere umili al non farsi rispettare o stimare come meritano, preferendo di risultare arroganti, piuttosto che disposti a subire, ma ciò non ha a che fare con le qualità che ognuno di noi ritiene di avere o ha effettivamente, anzi.

    In che modo una persona, per il fatto di essere arrogante, dovrebbe pensare di poter essere considerata migliore, più colta, più brava a cucinare o a suonare il sax? Potrebbe, d’altro canto, il fatto di essere umili, indurre qualcuno a credere che ciò implichi minor talento o minore capacità di apprendimento?

    Si potrebbe notare, al contrario, come l’umiltà sia, in certi casi, un assoluto vantaggio. Chi, ad esempio, si accingesse a imparare un mestiere o i rudimenti di un’arte, penso a un apprendista manovale o a un pittore, un alpinista o un soldato, e pensasse di fare di testa sua, sottovalutando l’utilità delle “dritte” dei suoi maestri, per il fatto che essi sono inferiori a lui, come in genere pensano le persone arroganti, farebbe molta fatica a fare progressi, non sentendone la necessità. Rischierebbe di incespicare a lungo nei suoi errori e, a volte, specialmente gli alpinisti e i soldati, di rimetterci la pelle… Naturalmente, conservando fino all’ultimo istante la certezza che sia per colpa di qualcun altro.

    L’umiltà, nell’accezione corrente, più che alla consapevolezza dei propri limiti, viene associata alla mancanza di autostima, di amor proprio, come se essere umili fosse un malessere psichico, più o meno come l’insicurezza o il masochismo.

    Non è così. I complessi di chi non si rende conto dei propri pregi hanno poco a che fare con il fatto di non vantarsene. D’altro canto, una cosa è vantarsi e un’altra farsi valere; infatti, chi lotta per affermare i propri diritti, per difendere la propria dignità, non viene detto superbo se non dagli invidiosi (ma quello è un altro peccato, per cui ne parleremo un’altra volta), mentre chi ritiene, per nascita, censo, razza o credo, di meritare più diritti degli altri, gode ormai di sempre minor stima.

    Superbia e arroganza sono comunemente considerati difetti e si rinfacciano a chi, le qualità che pretenderebbe di avere, alla prova del nove, difettano.

    Una certa propaganda, però, esorta le persone a essere spavalde, a osare. Spesso si idolatrano fenomeni di superbia ai limiti del patologico, come se l’assioma “genio e sregolatezza”, anziché valere per i geni, che spesso sono un po’ pazzi, valesse per i pazzi, che il più delle volte sono tutt’altro che geni. Scarface era Scarface, Achille era Achille, Pinco Pallo è Pinco Pallo. Chi si può mai permettere di essere superbo?

    Essere umili richiede il coraggio di aprirsi agli altri senza sentire di doversi difendere, di avere qualcosa da perdere.

    L’arroganza nasce sia dalla sfiducia negli altri, sia da quella in sé stessi, considerati entrambi inadeguati.

    Molti sbruffoni nascondono, nella spavalderia, la propria imbarazzante insicurezza; oggi come oggi è un cliché.

    Non abbiamo, tuttavia, sempre torto a ritenere che serva proteggere le nostre fragilità. Le persone infatti possono non vedere o non apprezzare ciò che siamo o avere un motivo per evitare che altri lo vedano, così la linea di confine tra umili e superbi diventa, in certi casi, meno precisa.

    Se quindi, quello di non giudicare il libro dalla copertina e non trarre conclusioni affrettate sull’atteggiamento delle persone, rimane tra i consigli che più meritano d’essere seguiti, dobbiamo essere onesti e ammettere che, potendo scegliere tra chi pretende da noi che riconosciamo la sua superiorità quando non la vediamo e chi non lo pretende assolutamente, anche se noi saremmo disposti a riconoscerla, preferiamo tutti accompagnarci ai secondi.

    L’umiltà non è il solo requisito che chiederemmo a un amico, a un partner, a un socio in affari, certo… poi, serve dell’altro.

    Come daremmo per scontato che, sotto un abito di ottima fattura, arricchito da accessori preziosi e ben abbinati, un uomo elegante indossasse biancheria altrettanto curata, allo stesso modo, resteremmo delusi da chi, nonostante la fortuna di una buona educazione, ottima istruzione, la possibilità di viaggiare e conoscere, rivelasse, nel parlare, un irrisolto complesso di superiorità. Sarebbe ancora peggio di un buco nel calzino.

    Ci si aspetta da tutti una dotazione minima di competenze sociali, di cui l’umiltà, insieme alla cortesia e al saper mostrare rispetto, costituiscono ancora la base.

    Se mancano, anche i meno educati, anche quelli che cadono negli stessi errori, sono in grado di accorgersene.

    Ecco perché è una buona cosa partire da lì: ci si veste dalla biancheria e si arriva al nodo scapino, non viceversa.

    Alcuni direbbero che, più importante dell’umiltà, in molti casi, sarebbero competenza ed efficienza.

    Affideremmo la nave che ci debba riportare a casa, nel mare in tempesta, a un capitano umile ma meno capace di uno capace ma arrogante?

    Sembra ragionevole ma, nella pratica, quanti capitani arroganti e capaci, contemporaneamente, avete conosciuto? Quanto tempo è durato il loro comando?

    Capita invece che i migliori capitani siano tutt’altro che arroganti. Succede per i grandi in ogni settore, non solo in marina… oppure sono stato fortunato io… Può darsi.

    Poi, non è così frequente dover scegliere un capitano per una delle nostre navi; più spesso cerchiamo chi ci dia una mano: chi ci peli le patate, chi spazzi il ponte e, soprattutto, chi remi.

    Certo, in molti lo sanno fare ma, i più, prima di rimboccarsi le maniche, sarebbero pronti a impartirci lezioni e a elargire consigli, dicendoci dove sbagliamo o lagnandosi con gli altri di come sarebbero bravi, loro, se fossero al nostro posto. Chi ci aiuterà davvero? Chi sarà disposto a lavorare con noi? Gli arroganti o gli umili?

    Nel dubbio, mi guarderei da chi fosse pronto a elencare le proprie abilità, da chi mostrasse troppa confidenza e ci sembrasse ansioso di renderci il dettaglio dei numerosi difetti altrui, compresi i nostri, perché sminuire gli altri, anche quando non si mente, dà di noi un quadro davvero poco edificante.

    Dall’umile, avremo sempre più di quanto promesso, mentre dall’arrogante, sempre di meno.

    Non dimentichiamoci, però, e forse questo è il consiglio più importante, di non pretendere mai dagli altri più di quanto siamo disposti a pretendere da noi stessi.

    Altrimenti, gli arroganti siamo noi.