Non saprei dire cosa mi aspettassi…
Ammetto di essere un po’ deluso.
Non dico che, finire la mia vita in gloria, lo vedrei come un traguardo. Non lo dico e non mi aspetto di essere sorpreso dai fatti.
Ciò non di meno, mi capita di pensare, ogni tanto, che non sarebbe male morire di gioia, finendo in bellezza, passando gli ultimi istanti ebbro e compiaciuto, anziché dubbioso e sofferente.
Ammetto che mi risparmierei l’occasione di sapermi spacciato, trovandomi ad assaporare la morte anzitempo, perdendo perciò il piacere di sentirmi vivo, finché lo sono.
Sarei, sinceramente, per non augurare lunga vita a nessuno, se fosse solo per assistere alla propria decadenza, preferendo convintamente che sia la vita ad aggiungersi agli anni e non viceversa, come del resto sento dire da molti, con entusiasmo epicureo, senza temere l’infausto orizzonte di arrivare a barattarne alcuni, di anni, scambiando quantità con qualità, se significasse risparmiarsi il dolore.
Non è temerarietà, tutt’altro: è paura, fosse solo dei rimpianti.
Malati, infatti, rimpiangeremmo ogni istante il tempo in cui eravamo sani e potevamo fare tutte le cose che ci sarebbero piaciute e che, comunque non avremmo fatto.
La morte venga quando si muore, quindi, ma non un secondo prima.
Che tipo di eroi immortali bisogna mai essere, del resto, per augurarsi torture e sofferenze, piuttosto che morti istantanee, a cavallo di saettanti fuochi artificiali?
A chi soffre, manca la forza di accorgersi del bene che lo circonda.
Troppo dolore spinge ad arrendersi, perché non vale la pena, perché restare vivi è più spiacevole di lasciarsi andare e, ammetto, non vedo come si potrebbe non meritare miglior sorte rispetto al discutibile privilegio di scegliere se combattere, senz’armi, senza patria, senza speranza, oppure accettare di soccombere.
Ci vuole un po’ di freddezza, molto disincanto e probabilmente l’aver avuto sufficiente tempo per sperimentare sia dolore che serenità per smettere di credere di avere diritto a sconti sui lutti, così, arriva un momento a cui potremmo non essere completamente preparati, ma in cui siamo abbastanza abituati all’idea, quei lutti, di affrontarli.
Conservo, è vero, infantili preferenze, su chi riterrei corretto precedesse e chi seguisse, nei commiati, ma so come vanno le cose e non è il mio dolore a impensierirmi. Avverrà.
Invece, quando a soffrire sono le persone che noi amiamo, che conosciamo bene, spesso sappiamo come sia profondamente immeritata la loro pena.
Qualcuno direbbe che lo è sempre. Eppure, confesso, a volte penso che non sia realmente così e che ci sia chi meriterebbe ben più di altri, per come ha vissuto, di non morire serenamente.
Sappiamo che gli onori non sono equamente distribuiti e che qualcuno ne ricevette, senza guadagnarseli, al posto di altri; solo che non c’è nulla che si possa fare, per ribellarsi, salvo ergersi a giudici, cosa che non sembrò mai indice di buon gusto, o compiacersi del male che subiscono i nostri nemici, quando capiti che davvero ne subiscono, che è anche peggio.
Confesso, anche se dura solo qualche istante, che potrei indicare parecchi individui, cui non sono nemmeno in grado di attribuire una qualunque qualità umana, da mettere al posto dei miei cari, fossi io a scegliere, in un letto d’ospedale e soffrire quello che invece tocca a loro.
Forse poi mi pentirei, ma preferirei davvero scambiare il dubbio di aver condannato qualcun altro con la certezza che chi amo meritava di stare bene, ora, e di sorridere spensierato qualche anno, almeno, per le amarezze che subì.
Convivrei volentieri col rimorso, sempre ammesso che, di rimorsi, facessi in tempo a provarne mai…
Le cose vanno come vanno ma non vanno come dovrebbero.
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Le cose vanno come vanno, ma non vanno come dovrebbero